A Ivrea è presente una sede dell’Università degli Studi di Torino che ospita il Corso di Laurea in Infermieristica e altri master di I° livello. Abbiamo chiesto al suo Direttore, Diego Targhetta Dur, di parlarci del rapporto fra sanità, innovazione e tecnologia.
Innanzitutto ti chiedo di presentare il Polo Officina H di cui hai la direzione.
All’interno della nostra struttura convivono e si integrano tre realtà: 1) il centro di formazione ECM per il personale dell’ASL 4 (che copre il territorio del Canavese) con eventi formativi per circa 4.500 dipendenti; 2) la Laurea Triennale in Infermieristica con circa 280 iscritti, il Master in cure palliative e fine vita, il Master in emergenza e cardio rianimazione, il Master in Telemedicina, il modulo introduttivo al Master in Infermieristica di famiglia e comunità con il laboratorio sperimentale, primo a livello nazionale, di tirocini residenziali e multi disciplinari, attivo in Valchiusella dal 2018 e la Scuola quadriennale di specializzazione in Psicoterapia; 3) l’accoglienza e co-progettazione di iniziative per il territorio (convegni, corsi, incontri) realizzate insieme a oltre 70 attori pubblici, privati e del terzo settore.
Parlando della formazione dell’infermiere, in che modo il vostro Corso di Laurea si confronta con l’innovazione tecnologica in atto?
Lo sviluppo tecnologico in ambito sanitario è talmente rapido che le strutture del Servizio Sanitario Nazionale (SNN) e le strutture universitarie come la nostra sono al costante inseguimento dell’innovazione. Noi abbiamo fatto una scelta didattica di fondo: invece di introdurre un modulo formativo su Nuove tecnologie e Salute a sé, abbiamo preso atto che il tema tocca ogni ambito della medicina. Abbiamo quindi rivisto la didattica che proponiamo al futuro infermiere, introducendo in ogni disciplina (medicina di emergenza, cardiologia, psichiatria, ecc.) un focus sulle nuove tecnologie già presenti o di prossima adozione.
So che state introducendo un’altra innovazione nel Corso di laurea, che ti sta particolarmente a cuore.
Si tratta di un’innovazione in questo caso non guidata dalla tecnologia, ma molto significativa: mi riferisco al Recovery College, un luogo e un approccio alla formazione degli operatori della sanità che li mette a contatto non solo con i docenti di “competenza” (esperti e specialisti della materia) ma anche con docenti di “esperienza” (i pazienti e chi vive le loro problematiche). È un approccio circolare all’apprendimento professionale, nato in Gran Bretagna nei servizi di salute mentale, adottato in altri settori della sanità e velocemente estesosi a molti Paesi.
Per concludere, ti pongo la domanda delle domande: come possiamo mantenere “umana” la medicina e allo stesso tempo renderla “tecnologica”?
In tempi di risorse scarse e di carenze allarmanti di personale, non bisogna sprecare energie preziose nel difendere modalità consuete di curare e assistere, anzi! Bisogna allearsi a tutti i livelli con le nuove tecnologie perché queste consentono spesso un vero risparmio e un utilizzo più efficace del personale, per esempio impiegandolo soprattutto quando e dove l’elemento umano è insostituibile.
Non dimentichiamo che l’infermiere/a è la figura che passa più tempo a contatto con la persona in cura e che può preservare e migliorare la relazione terapeutica, a condizione di essere formato sempre meglio e di abbracciare la prospettiva del lifelong learning.
C’è un altro aspetto centrale: anche la persona in cura va coinvolta in questo processo di apprendimento, in quanto molte tecnologie (penso al monitoraggio in remoto di patologie croniche, ai farmaci a somministrazione lenta, agli ausili per l’auto-misurazione di parametri clinici…) vanno personalizzate sul paziente e sono efficaci se la persona è coinvolta e formata (in base alle sue capacità, età anagrafica, ecc.)