C.NEXT Ivrea ha come mission la creazione di una comunità di innovatori a livello locale: solo aprendosi all’intelligenza collettiva oggi si può fare vera innovazione in ogni campo economico e sociale. Su questo tema fondamentale ci siamo confrontati con chi ne ha fatto una scelta di campo: la Fondazione di Comunità del Canavese e il suo Presidente, Augusto Vino.
Innanzitutto, che cosa è una Fondazione di Comunità?
Questi organismi, diffusi in moltissimi paesi occidentali, sono radicati a livello locale (in un quartiere, in una città, in un’area geografica, in un gruppo sociale), nascono “dal basso” (da cittadini, comitati, soggetti non profit, organizzazioni in genere), utilizzano la filantropia a favore della collettività di riferimento.
La nostra Fondazione nasce nel 2015 con il duplice scopo di sostenere i servizi di welfare sociale del Canavese e di favorire l’innovazione del welfare locale e del Terzo Settore. Siamo una Fondazione di Partecipazione, cioè formata da soci sostenitori (al momento circa 100) che donano in maniera continuativa risorse economiche all’ente e consentono, unitamente a chi contribuisce in occasione di campagne ad hoc, di supportare le iniziative promosse dagli altri soggetti non profit del territorio. Negli ultimi anni ci siamo dati tre linee prioritarie ma non esclusive di intervento: il mondo giovanile, la scuola, l’emergenza abitativa.
Nella nostra esperienza una comunità esiste se c’è vera condivisione di aspettative e valori, forte fiducia reciproca ed esperienze di pratica. Che cosa è per voi una comunità?
Tutto ruota intorno alla gratuità: le relazioni di tipo comunitario si basano sul dono sociale e la solidarietà; in questo modo si crea valore per tutti, si diventa attrattivi, si aggrega un territorio, si promuove l’inclusione, si crea qualcosa di stabile e non solo utilitaristico.
La Fondazione ha negli scopi statutari la promozione della cultura del dono, proprio perché è il dono – potremmo dire la filantropia comunitaria – che costruisce relazioni di gratuità e quindi costruisce comunità. Ci sono ovviamente delle criticità e dei rischi nell’essere locali. La vicinanza e la solidarietà praticate in un territorio possono far nascere dei confini, portare a chiudersi internamente, ad alimentare la mentalità di “noi e loro”.
È nella vostra mission l’impegno a innovare il Terzo Settore locale; occupandoci di tecnologia e innovazione, l’argomento ci stimola molto…
Il nostro scopo non è solo erogativo, cioè consentire al tessuto attuale di enti non profit di generare valore per la collettività, ma trasformativo, cioè aiutarli a fare più innovazione sociale.
Il nostro modo di innovare passa dal confronto con altri territori (siamo in contatto con molte delle oltre quaranta Fondazioni di comunità presenti in Italia), dal lavoro di rete (il Canavese ha estremo bisogno di fare sistema, in quanto è un territorio molto frammentato), dalle esperienze originali di analisi della realtà sociale, che è in profonda trasformazione in questi ultimi anni anche nel Canavese (emergono nuove forme di bisogno e marginalità sociali o fragilità note cambiano pelle).
In tutto ciò la digitalizzazione in atto può dare un contributo importante, mettendo a disposizione tecnologie di scambio e partecipazione, di analisi quantitativa di dati e fenomeni sociali su una scala prima inimmaginabile, di circolazione capillare di buone pratiche. È un percorso di utilizzo delle tecnologie a supporto dell’innovazione che abbiamo appena iniziato e che è ancora tutto da percorrere.